giovedì 30 dicembre 2010

Divieto

Nella mia via c'è un divieto di sosta. Non nel senso che in un determinato luogo non sia concesso parcheggiare, ma nel senso che da qualche tempo a questa parte vi è comparso un cartello stradale provvisorio, retaggio di probabilmente di un cantiere a conclusione del quale è stato dimenticato. A volte osservo la sua figura esile e traballante, con la testa rotonda, blu bordata di rosso, e per un attimo mi pare di cogliere in lui un atteggiamento un po'mesto. Non tanto perchè ciò che prescrive venga sistematicamente violato -egli è ben consapevole di essere messaggio all'interno di un codice- ma perchè si trova ineluttabilmente in balia degli eventi. Dal mio balcone appare chiaramente, infatti, che spesso viene spostato per tutta la lunghezza della strada dall'automobilista inquieto che tenta di ritagliare un rettangolo di asfalto per sè e la sua vettura, e talvolta gli è accaduto anche di ritrovarsi dall'altra parte della carreggiata. Benchè probabilmente la visione del mondo da una nuova prospettiva possa apparirgli stimolante, l'episodio più mortificante l'ha visto issato a forza sul marciapiede medesimo, con la sola possibilità di rivolgere vanamente il suo messaggio alle facciate ignare dei palazzi circostanti.
So bene che non parliamo la stessa lingua, ma la prossima volta che gli passo di fianco quasi quasi un sorriso glielo faccio.

La parola divieto deriva da un verbo latino che probabilmente suonava come *DEVETARE, composto dalla particella DE e dal verbo VETARE. Quest'ultimo, da cui deriva anche il sostantivo italiano veto, ha probabilmente la stessa radice di VETUS, cioè vecchio. Secondo questa interpretazione (che però non è verificata e dunque chiedo a voi lettori, strizzando l'occhio, di cedere senza rimorsi alla suggestione) una cosa è vietata quando viene "messa tra le cose vecchie" perchè ha ormai fatto il suo tempo, e dunque è opportuno che non venga fatta più.

venerdì 24 dicembre 2010

Presepe

È arrivato il Natale, che sa essere, come tutte le tradizioni, nuovo e vecchio allo stesso tempo. E io, come ogni anno, ho allestito in casa un presepe, che mi ricorda l'infanzia e mi dà la strana sensazione di aspettare fiduciosamente qualcosa di buono.

Un particolare del mio presepe.
Quest'anno per la prima volta, però, mi sono chiesta anche l'etimologia della parola, e ho scoperto che PRAESEPE, e la sua variante PRAESEPIUM, in latino significavano stalla, o più propriamente recinto, dal verbo PRAESEPIRE, composto di PRE, cioè "davanti" e SAEPIRE, ovvero cingere, abbracciare, recintare con una siepe (SAEPIS, appunto).

Quest'immagine mi ha fatto tornare in mente delle parole del vangelo di Giovanni, che conosco grazie al mio saggio papà:
Io sono la porta per le pecore. Ve l'assicuro. Io sono la porta: chi entra attraverso me sarà salvo. Potrà entrare e uscire e trovare cibo. Il ladro viene soltanto per rubare, uccidere o distruggere. Io invece sono venuto perché abbiano la vita, una vita vera e completa.
A me piace quest'idea di un recinto aperto, nel quale si è liberi di entrare ed uscire, sentendosi al sicuro dentro e fuori, perchè il dio che ci protegge è la porta stessa che scegliamo di attraversare.

Da sempre, del presepe, mi piacciono soprattutto i pastori, come il vecchio Gelindo della tradizione piemontese, che vive sotto le stelle e per questo è tra i primi a vedere la cometa che lo condurrà al miracolo della vita che sboccia.
Questo è quello che io credo avesse in mente il buon Francesco d'Assisi, che il presepe l'ha inventato. La nostra precaria generazione può fare tesoro del suo insegnamento, che tramuto in un augurio per tutti voi che state leggendo: possiate vivere con gioia una vita semplice, ma senza perdere mai la capacità di guardare in alto e accorgervi della stella che vi accompagna.

Buon Natale. :)

martedì 14 dicembre 2010

Esaudire

Sarà l'aroma della tazza di tè di Natale che ho appena bevuto, il profumo dolce dell'arancia e quello piccantino della cannella, sarà che ho un gatto bianco che mi dorme accanto sul letto, e che tutto sommato posso considerarmi una persona fortunata, ma io a certe cose ci credo ancora.
Credo, ad esempio, che un desiderio ben espresso, con la giusta sincerità, possa anche essere esaudito. Ecco quindi la mia letterina di Natale 2010:

Caro babbo Natale,
quest'anno desidero buon cibo e buoni amici, e cose tanto belle da volerle fotografare.
So che chiedo molto, ma mi piacerebbe vivere su un pianeta culturalmente e fisicamente più sano.
Poi vorrei un po' di caldo dentro, d'inverno, e il sole in faccia d'estate.
Vorrei delle parole per giocare e dei chilometri da percorrere. Se ti avanza, portami qualche nota da far vibrare nei miei tasti, mezza dozzina di canzoni e una discreta quantità di risate.
E la capacità di vivere pienamente tutte queste cose, nonostante le difficoltà. Come dici, babbo? Ah, ok, quella è farina del mio sacco.

Esaudire deriva dal latino EX AUDIRE, composto da AUDIRE, cioè ascoltare, e dal rafforzativo EX.
Non significa altro che "ascoltare pienamente", e dunque, attraverso una profonda comprensione, rendere possibile ciò che ci viene chiesto.

domenica 5 dicembre 2010

Rumenta

L'Italia è invasa di rumenta... immondizia, rifiuti, spazzatura, monnezza. Comunque la chiamiate la sudicia sostanza, ahimè, non cambia. Sarà la mafia che ci guadagna a smaltirla, sarà il nostro scarso senso civico nel riciclarla, saranno le multinazionali che ci costringono a produrne sempre di più, racchiudendo qualunque prodotto in infiniti strati di imballaggio.
Sul problema già molto è stato scritto, e io sono qui, invece, per raccontarvi una storiella esemplare:


Ezio e Patrizia passano le vacanze in un paesino sulle Alpi. Lì hanno una piccola casa con un grande balcone. Stanno passeggiando, e Ezio ogni tanto si ferma, si china a terra, e poi si ritira su.
«Si può sapere che stai facendo?» chiede Patrizia.
«Raccolgo questa roba, è incredibile quante schifezze la gente butta per terra».
«Sì, vabbè, ma mica potrai raccoglierle tutte tu».
«Certo che posso, qui è come se ci fossi nato, è il mio paese, e io lo tengo pulito. Fai conto che mi paghino per farlo, ecco... è come se prendessi cinquanta centesimi a rifiuto. Toh, di oggi mi sono già guadagnato tre euro e mezzo».
Patrizia sorride accondiscendente e continuano a camminare.
Dopo alcuni giorni, Ezio esce di casa con il sacchetto della rumenta da buttare, di mattina presto, prima di andare al bar a leggere il giornale.
Si avvicina al cassonetto, che è vuoto, e a un tratto li vede.
Sul fondo, cinquanta euro. Per lui.

Conosco personalmente Ezio e Patrizia e so con sicurezza le le cose sono andate proprio così.
La nostra parabola è ambientata in Piemonte, e quassù immondizia si dice rumenta, oppure, nell'astigiano, armenta. Mi sono interrogata a lungo sull'etimologia di questa parola e alla fine ho concluso che deriva dal verbo piemontese arman-e, cioè rimanere, dal latino REMANERE (la A iniziale è tipica dei verbi che iniziano per RE- nei dialetti del nord italia, e serve ad agevolare la pronuncia). 
Le due parole in questione traggono origine da dei neutri plurali, e significavano "le cose che restano, ciò che rimane", ovvero i rimasugli, gli avanzi.
È facile, oggi più che mai, dimenticarsi dei rifiuti, ma in compenso è molto, molto difficile disfarsene.

venerdì 26 novembre 2010

Sollevare

studenti che manifestano a Torino
Un tempo sulle "torri d'avorio" stavano politici e intellettuali. Ultimamente invece accade che a lambire i cieli siano operai senza permesso di soggiorno, ricercatori precari e studenti che rivendicano il diritto all'istruzione.
Non certo un atto di presunzione nè un desiderio di isolarsi, ma anzi una disperata richiesta di attenzione. L'attenzione di una società disabituata a volgere lo sguardo verso il basso e tendere la mano a coloro che, per qualche motivo, faticano a sollevarsi con le proprie forze.
Se non guardano in basso, forse, sapranno guardare in alto.

Sollevare è molto semplicemente un composto della particella SUB, cioè sotto, e LEVARE, cioè alzare (a sua volta da LEVIS, leggero).
Mi auguro che questa sollevazione popolare, nel senso più etimologico del termine, aiuti, come dice lo striscione esposto a Torino, a "riportare in alto" l'università italiana.
Proprio lì, sotto quel tetto, mi aspettano ancora due anni di studi. Dopo, per me e per gli altri, verrà l'inizio di un nuovo viaggio, da percorrere sotto un cielo - se è possibile - ancora più incerto.


"Ci volete sotto i ponti, ci vedrete sopra i tetti." 
Manifesto della protesta studentesca a Roma.

sabato 20 novembre 2010

Ricordo

Qualche giorno fa ho fatto un piccolo viaggio, con mio padre, tra le montagne del canavese. Il clima grigio e umido, appena più freddo di quello di pianura, ha fatto sì che i ricordi mi impregnassero lentamente e mi lasciassero, a distanza di giorni, una malinconia dolce e persistente.
Ricordo che ci andavamo ogni anno, con nonna Maria, il primo Novembre, ed era il primo giorno che indossavo il giaccone invernale, che non avrei più tolto per i mesi successivi. I "grandi" mi risparmiavano la visita al cimitero, e avevo modo di girare il piccolo paese, lasciandomi stupire da cose apparentemente insignificanti, come la vetrina della panetteria, quella del negozio di scarpe e quella del negozio di giocattoli. Speravo sempre che da un momento all'altro si mettesse a nevicare.
Poi c'era la casa di Marianin e Antonietta, le anziane cugine di mia nonna, una stanza dal pavimento di legno, con un grande frigorifero ingiallito e una vecchia, vecchissima stufa di ghisa. Ricordo chiaramente il calore di quel piccolo ambiente, i suoni incomprensibili del loro dialetto, il cioccolatino e la banconota spiegazzata che mi infilavano in tasca prima di andare via, l'odore di legna, latte e formaggio. Alle pareti scrostate due diplomi rendevano omaggio al loro mestiere di allevatrici, esercitato in fraterna solitudine per tutta la vita, e poi, accanto a qualche immagine sacra, campeggiava il ritratto di una bellissima donna dagli occhi chiari e il viso dolce e fiero: la loro madre.
Poi si andava al ristorante, dove snobbavo la maggior parte delle piemontesissime portate e dopo si visitava un'altra famiglia, dove un'altra stufa accesa era circondata di persone allegre e gatti sonnecchianti. Lì mia cugina, una bambina magra, che mi pareva vestita troppo leggera per il venticello freddo che pungeva le guance, si faceva rincorrere per i pendii intorno alla cascina mostrandomene i segreti e gli infiniti animali che la abitavano.
E alla fine la partenza che era già buio, carichi di castagne, miele e formaggio (una volta portammo via anche uno dei gatti), e il viaggio in macchina riposante e conciliante, dopo tante emozioni.

Il verbo ricordare, da cui la parola ricordo, deriva dal composto di RE- che indica il ritorno, il ripetersi di un'azione e *CORDARE, da COR, CORDIS, che voleva dire cuore.
Somiglia all'inglese know by heart, sapere a memoria, e al francese apprendre par coeur.
Non mi stupisce che gli antichi considerassero il cuore, anzichè la mente, come sede della memoria. Certe immagini, odori, sapori, suoni del passato sono certa di conservarli proprio lì.

sabato 13 novembre 2010

Faccia

La faccia non è solo, come dice il dizionario, "la parte anteriore del corpo dell'uomo, dalla sommità della fronte all'estremità del mento e da un orecchio all'altro", e lo dimostra la varietà di espressioni che la riguardano oggi nella lingua italiana.
Se si crede veramente in qualcosa ci si mette la faccia, a costo anche di perderla. Un'emozione troppo forte, una grande gioia o un eccessivo disappunto, li abbiamo scritti in faccia, per non parlare di coloro che hanno una faccia di bronzo, e di alcuni loro simili ancor meno raffinati che qui non menziono.
Si può inoltre avere una faccia tosta, prendere qualcuno a pesci in faccia, espressione che non mi sono mai saputa spiegare completamente (suggerimenti?), e quando è necessario essere franchi con qualcuno è bene dirgli le cose in faccia.
La parola deriva dal latino parlato *FACIA(M), dal latino classico facie(m), che voleva dire "aspetto, figura". La cosa che stupisce è che già in latino il sostantivo derivasse a sua volta dal verbo FACERE, cioè "fare", come d'altra parte avviene per la parola "fattezze". Quindi la faccia è la nostra forma esteriore, così com'è stata fatta, appunto, ma è anche il mezzo principale, insieme alla parola, per rapportarci con il mondo, esprimere i pensieri e, infine, agire.

Suggerimento del giorno, dunque: usate bene la vostra faccia. E guardatevi, naturalmente, dagli eventuali voltafaccia.

sabato 6 novembre 2010

Laurea

È ufficiale, sono una Zuccaviolina laureata! I mesi di ricerche, le ultime settimane passate a scrivere ossessivamente, tutti i momenti bellissimi e sfiancanti della ricerca sul campo, si sono degnamente conclusi con le facce sorridenti dei musicanti di Fubine, che erano venuti a sentirmi parlare e invece è finita che tutta la commissione ha ascoltato loro esibirsi in sala lauree, con grande stupore dei presenti. Così l'essenza della mia ricerca si è diffusa nella stanza sotto forma di onde sonore, briose e vibranti, e le parole non sono state che una didascalia in più.
Poi sono venuti i complimenti dei professori, le foto, la dolcezza delle amiche, la cena con Dario e la mia famiglia, accanto alla stufa accesa, i dolci cioccolatosi e ipercalorici.
Questa è stata la mia laurea.
La parola, invece, deriva dal latino LAURUM, pianta rituale che veniva utilizzata dai latini nelle cerimonie religiose o per rendere onore a poeti e generali vittoriosi. Il LAURUM in italiano è diventato lauro, da cui la parola laurea, ma anche alloro. Questa parola, un po'diversa, trae origine da ILLA(M) LAURUM, ovvero dal medesimo nome preceduto dal dimostrativo latino ILLA, che in italiano ha generato l'articolo "la". Il lauro infatti, come tutte le piante in latino, è di genere femminile... d'altra parte si parla di madre natura ancora oggi, no?
L'articolo, per ragioni fonetiche, si è "attaccato" alla parola successiva, e con qualche aggiustamento nei suoni, per rendere agevole la pronuncia (in questo caso una metatesi, ovvero uno scambio tra la "l" e la "a"), è nata la parola alloro.

Indovinate a che corso di laurea specialistica mi sono iscritta adesso?
Facile, scienze linguistiche. ;)

venerdì 29 ottobre 2010

Donna

Parola entrata nel toscano del 1300 (da cui nasce l'italiano) grazie all'influsso della poesia provenzale e del Dolce Stil Novo, prima del quale si usava semplicemente "femmina". Donna deriva dal latino DOMINA, attraverso una fase intermedia DOMNA, e voleva dire signora, padrona.
Questa etimologia ci dice, se è vero che spesso la realtà discende dai nomi che le diamo, che la donna è per definizione padrona di sè stessa.

Eppure mi guardo intorno e vedo bambine bombardate da immagini pubblicitarie fin dentro la culla, che crescono travolte dai pregiudizi che la società getta loro addosso. Vedo ragazzine vittime dell'omertà familiare, che tacciono per preservare l'onore degli adulti, e se parlano vengono fatte sparire. Vedo giovani donne che lavorano per la metà di quello che prende un uomo, o vengono ricoperte di soldi per dimenticare la dignità e infilarsi nel letto di un potente. Ne vedo alcune invecchiare infelici, perchè non si sentono all'altezza delle bambole di plastica della tv.
Se velare il volto di una donna è responsabilità di un'intera civiltà, la colpa di questo invisibile burqua grava sulle spalle di tutti noi.
Sogno un'Italia in cui le donne siano finalmente, come da secoli vuole l'etimologia della parola, padrone del proprio destino.

domenica 24 ottobre 2010

Lavanda

il viola è il mio colore preferito...
Che soddisfazione essere interpellata dalle amiche come "etimologa" di fiducia. Questi fiori e quest'etimologia, Baby, sono per te.
Non mi ero mai interrogata prima sul nome, peraltro molto usato, del graziosissimo fiore di lavanda. Rientra in quell'insieme di parole così note, a cui siamo talmente avvezzi e affezionati, che non ci domandiamo mai il loro vero significato.
Quello che salta all'occhio è ovviamente la somiglianza con il verbo lavare (e qui avevi ragione, Baby). Infatti si tratta di un derivato della parola "lavanda" intesa come lavaggio, che a sua volta è frutto di un gerundivo latino, che significava più o meno "cose da lavare".
Lo slittamento semantico è dovuto al fatto che la lavanda, con il suo profumo così intenso, è parte di una quotidianità antica, nella quale probabilmente è sempre stata utilizzata, nascosta tra le pieghe, per profumare la biancheria pulita, oppure immersa nell'acqua per lavarsi. La versione un po' più autentica (e decisamente meno inquinante) di moderni deodoranti e bagnoschiuma.

giovedì 21 ottobre 2010

Infanzia

Prendo spunto dai bellissimi discorsi fatti oggi con una persona speciale, il cui blog consiglio a tutti voi.
L'infanzia è un momento fondamentale e bellissimo della nostra esistenza, un po' come la prima frase di un libro o l'inizio di una melodia, la premessa fondamentale di un qualcosa di incompleto, che potrebbe potenzialmente diventare tutto.
L'infanzia è una fase creativa anche perchè non si sa parlare, e dunque si è ancora in grado di inventare parole, accostando suoni in modo del tutto casuale ed esplorando le meravigliose e infinite potenzialità della lingua.
E infatti la parola infanzia deriva dal verbo latino FARI, "parlare" (che in quanto verbo irregolare e probabilmente antichissimo non ha prodotto alcuna parola in italiano), e dal prefisso sottrattivo IN. Infante è dunque, in sostanza, colui "che non ha ancora l'uso della parola", e quindi non dispone di categorie (oppure, volendo, ne ha potenzialmente un numero infinito) per nominare e quindi interpretare, domare, la realtà che lo circonda.

giovedì 14 ottobre 2010

(Zazie dans le) Bidet

Zazie dans le Bidet.
Che i gatti amino soggiornare nei luoghi più inappropriati della casa è cosa nota. Qui, rivisitando il grande classico di Quenau, la mia gatta Zazie staziona placidamente dentro un elemento fondamentale dell'arredo del bagno: il bidet.
Non prendo posizione nella perenne querelle che tenta di stabilire se i francesi possano meritatamente rivendicarne l'invenzione, giacchè oggi non ne fanno uso. È certo però che la parola sia francese, e sulla sua etimologia mi interrogavo oggi con la mia coinquilina, a cui dedico questo post.
Pare che in antico francese bidet significasse "piccolo cavallo" da una radice celtica -bid che indica cose di piccola taglia. E il verbo bider, ormai in disuso, voleva dire cavalcare, trottare. Non sto a entrare nei particolari, ma, come potete benissimo figurarvi, la posizione è palesemente la stessa.
Aggiungo che un francesismo può servire a ingentilire una parola moderatamente tabù, come questa, pensate a toilette o all'inglese water. Sul complesso rapporto tra Zazie e quest'altrettanto essenziale sanitario indugerò, magari, un'altra volta.

venerdì 8 ottobre 2010

Scrivere

È il suono della parola scrivere (dal lat. SCRIBERE) che ne detiene il più profondo significato. La sua radice, presente anche nel verbo greco graphein è la stessa di graffiare e grattare. In effetti le parole, un tempo, venivano incise sulla cera, sul legno o sulla pietra. Dipende per quanto tempo dovevano durare. Di solito non molto, giacchè le cose veramente importanti venivano tramandate a voce, così che nessuno fosse autorizzato a dimenticare.

Ho appena finito di scrivere la tesi, ed è l'unico verbo che ho in testa in questo momento. Voglio però condividere con voi alcune parole, che sono in fondo il nocciolo della mia ricerca, e anche se è possibile che il loro significato non risulti poi tanto chiaro, spero che vi permettano, almeno, di comprenderne l'atmosfera:

Questa storia è partita da una stalla, nella quale da millenni dei contadini si scaldano al fiato delle vacche.
Questa storia ha attraversato le campagne, si è arrampicata sulle vigne, ed è maturata in un piccolo frutto rotondo.
Questa storia ha visto litri di vino e gente che ride, zucche che cantano e voci che suonano.
Questa storia ha conosciuto un barbiere violinista, un bambino che suona l'organo a messa, un uomo che muore in una fabbrica di ghiaccio, un ciclista che costruisce strumenti musicali e sogna di recitare in un elegante teatro torinese.
Questa storia è scoppiata come una guerra, come la leva obbligatoria, come la Resistenza, come i grappoli durante la vendemmia, come un vecchio cinema che brucia in un incendio.
Ha urlato nelle gole degli operai, ha contestato a fianco degli studenti, ha cantato la sua nostalgia, ha attraversato le piazze come un carnevale.
Questa storia, è la mia tesi.

domenica 26 settembre 2010

Politica

Scusate, questa etimologia è trita e ritrita, ma stasera ho sentito una frase, al telegiornale, pronunciata da una ragazza della mia età. Mi somigliava anche un po', e diceva: "La politica è morta, perchè tutti i partiti alla fine devono venire a compromessi".

Questa è la mia risposta:
Politica deriva da polis, che voleva dire "città". È una parola che arriva dalla Grecia , la culla della civiltà democratica. E non è un modo di dire, perchè la democrazia loro ce l'avevano già cinquecento anni prima della nascita di Cristo.
Giovanni Sartori ha dato una bella definizione di politica: "la sfera delle decisioni collettive sovrane". Per essere collettive, mi spiace per questa massa di indignati, debbono essere frutto di un compromesso.
E se smettessero di urlare per qualche secondo, magari, potrebbero anche partecipare.

giovedì 23 settembre 2010

Autunno

Prima di farci sopraffare dal pensiero che l'estate è finita, soffermiamoci un attimo sul significato della parola autunno. È la versione addolcita, nei suoni, del latino AUCTUMNUS, dal participio AUCTUS del verbo AUGERE, che voleva dire aumentare, arricchire. Infatti è in questi giorni che, da sempre, nel Monferrato maturano i grappoli e si vendemmia, si colmano i tini e anche i portafogli dei vignaioli (che si riempiono sempre meno, mi dicono, ma le parole, purtroppo o per fortuna, durano ben più delle circostanze che le hanno prodotte).
E se provassimo, come omaggio ai nostri nonni contadini, a considerare l'autunno un buon momento per guardarci intorno, e scoprirci improvvisamente più ricchi?

"Non so se tutti hanno capito Ottobre
la tua grande bellezza
nei tini grassi come pance piene
prepari mosto e ebbrezza."


giovedì 16 settembre 2010

Precario

Parola molto di moda oggi usata per indicare quelli che, come me, studiano qualcosa che li entusiasma veramente per anni e poi...
e poi.
Eeeh.
Poi trovano un lavoro sottopagato a progetto, oppure si avventurano nell'intricata giungla burocratica dell'insegnamento, sperando di ottenere una cattedra quando agli stremati ultrasessantenni attuali verrà concessa la pensione. Oppure si rassegnano a fare un lavoro che non c'entra assolutamente nulla con le cose di cui, per anni, hanno riempito pensieri e quaderni.
Ma mi consolerebbe sapere che il precariato è solo un problema di linguisti e letterati, mentre purtroppo non è così.

Precario deriva dal latino PRAECARIU(M), cioè "ottenuto con preghiere (in latino PREX, PRECIS), concesso per grazia". Niente di più appropriato per l'Italia, patria dei concorsi truccati e delle raccomandazioni, e dove trovare un lavoro dignitoso, al giorno d'oggi, è praticamente un miracolo.

mercoledì 8 settembre 2010

Google

Sono giorni che Google propone loghi sempre più assurdi, e contrariamente al solito, senza fornire spiegazioni. La mia curiosità cresce proporzionalmente alla mia noia. Infatti in questo momento sono davanti all'ufficio di un professore che dovrebbe ricevermi ma, inspiegabilmente, non c'è.
E così ne approfitto per omaggiare il celebre motore di ricerca fornendovi l'etimologia del suo nome, che appartiene a quella categoria di parole così note che raramente viene in mente di domandarsi cosa significhino.
La spiegazione me l'ha fornita Wikipedia, perchè io, pur essendomi sfidata per un po'a interpretarlo da sola, non ci sarei mai arrivata.
Google deriva dalla parola googol, inventata da un matematico americano (pare però l'abbia coniata suo nipote di 9 anni) per definire il numero composto da un 1 seguito da 100 zeri. Insomma un'esagerazione, un'enormità, una cifra che non servirà mai a misurare qualcosa nella realtà, ma che ci serve a immaginare, per quanto possibile, la differenza tra un numero enorme e l'infinito.
Infinito come la rete, e più o meno quanto le mie probabilità infinitamente piccole, sempre più esigue, di riuscire a parlare con un professore il cui ricevimento scadeva mezz'ora fa, e a cui non si è neppure presentato.
Ma io, tenacemente, aspetto.

venerdì 3 settembre 2010

Focaccia - e blog hop del venerdì

Facciamo un po' di vita sociale! Ringrazio Cristina del blog "Pan per focaccia" per avermi invitata a partecipare a questo scambio culturale tra blog.
Visto che gli altri iscritti sono tutti foodbloggers (per gli italocentrici: gestiscono blog di cucina) dedicherò loro un'etimologia culinaria.
La golosissima parola del giorno è focaccia, che deriva dal latino (PANIS) FOCACEUM, ovvero "pane cotto al fuoco".

Qui di seguito le regole del blog hop:
- si possono visitare quanti blog si vogliono tra quelli presenti nella lista, quando visitiamo un blog che ci piace possiamo diventare sostenitori;
- bisogna diventare nuovi sostenitori di almeno un blog tra quelli presenti in lista
- quando diventiamo sostenitori di un blogger dobbiamo lasciare un commento nel suo blog dicendo che siamo passati in occasione del blog hop del venerdì;
- è obbligatorio ricambiare la visita, quindi se un blogger diventa nostro sostenitore grazie al blog hop del venerdì passiamo da lui e ricambiamo il favore (questo è lo spirito di fondo del blog hop);
- facoltativo: il blog hop funziona se ci si iscrive in tanti, una garanzia di successo è pubblicare la lista sul proprio blog, per farlo occorre cliccare su "Get the code here..." sotto la lista e inserire il codice in un post;
- la lista viene aggiornata automaticamente su tutti i blog in cui viene pubblicata, quindi è sufficiente iscriversi su uno qualsiasi dei blog che la pubblicano;
- ci si può iscrivere al blog hop del venerdì fino alla mezzanotte di oggi;
- una volta iscritti si ha tempo fino alla mezzanotte della domenica successiva (in questo caso domenica 5 settembre) per visitare gli altri blog e diventare eventualmente sostenitori.


sabato 21 agosto 2010

Attesa

Parola derivata dal verbo attendere, composto di AD e TENDERE, tendere verso qualcosa, essere protesi, mirare. Un po'come aspettare, AD - SPICERE, cioè guardare da una parte, fissare il punto dal quale, prima o poi, qualcuno arriva.

"Un bel di vedremo. Levarsi un fil di fumo sull' estremo confin del mare. E poi la nave appare. "
Mi cantava sempre mia mamma, con la sua voce un po'stonata ma sincera.

Cosa faccio stasera? Aspetto.

lunedì 16 agosto 2010

Ferragosto

Dicesi Ferragosto quel giorno di mezza estate in cui si va al mare, si fanno i falò sulla spiaggia, si balla tutta la notte e simili amenità. Naturalmente questo se ci si trova al mare, se c'è la spiaggia, e, soprattutto, se fa caldo.
Condizioni che non si verificano se ci si trova a milletrecento metri sul livello del mare e la temperatura oscilla tra gli otto e i diciassette gradi. L'alternativa? Accendere la stufa e sorseggiare genepy.
Ah, dimenticavo, l'etimologia: ferragosto deriva da FERIAE AUGUSTI, giorni di festa introdotti dall'imperatore Augusto, durante i quali scuole e uffici restavano chiusi, e che ricorrevano, naturalmente, ad Agosto.

sabato 7 agosto 2010

Ancia

Eccomi qua. Sono tornata dalle vacanze e sono passata dal bagno a mare all'immersione nella tesi, speriamo senza gravi naufragi, ma è ancora tutto da vedere. Proprio ieri mi sono scontrata con una regola grammaticale che avrà fatto sudare freddo molti di voi, e riguardava il plurale della parola ancia. Giacchè l'etimologia e la grammatica non hanno poi molto in comune i più curiosi possono andare a leggersi la famigerata regoletta qui.

Ma passiamo alla parola del giorno. L'ancia è una sottile lamella di legno o di metallo che fa sì che i clarinetti, le zampogne, gli oboi, le fisarmoniche e svariati altri strumenti producano suoni. Il funzionamento dell'ancia è identico a quello del filo d'erba o del gambo di soffione quando da bambino lo strappi e ci soffi sopra (lo facevate anche voi?), in poche parole vibra interrompendo e rilasciando, continuamente e molto velocemente, l'aria che viene dai nostri polmoni e così facendo produce un certo suono.
A quanto pare la parola deriva dall'antico francese anche, che a sua volta deriva dall'antico olandese *ankya che indicava il canale dell'osso (anche la parola anca in effetti è germanica), da cui è passato a indicare il condotto, l'imboccatura dello strumento e quindi anche la lamella posta vicino all'imboccatura.
Uno strumento tradizionale italiano tipico, dotato di ancia doppia, cioè di una coppia di ance legate una con l'altra, è la ciaramella (quella nella foto), che tradizionalmente suonava in coppia con le zampogne. Questa parola deriva dal latino CALAMUS, che è il nome della canna, pianta che si presta molto a costruire strumenti musicali perchè è naturalmente cava all'interno.
Questo testimonia come da sempre l'uomo tragga dalla natura non solamente il nutrimento per il corpo, ma anche quello per l'anima.

martedì 20 luglio 2010

Cerea

Molto presto partirò per qualche meritato giorno di mare a Riva Ligure, in provincia di Imperia. In questo bellissimo paesino ho passato lunghi mesi da bambina insieme a Nonna Maria, che essendo una persona molto ansiosa non mi lasciava fare il bagno per timore che annegassi, nè mi faceva stare sulla spiaggia per paura che prendessi un'insolazione. Nonostante ciò mi ricordo molti di quei periodi come i più belli della mia infanzia. Un momento tipico della giornata era la passeggiata sul lungomare, durante la quale ascoltavo un po'annoiata lunghi discorsi in piemontese (Riva Ligure è colonizzata dai villeggianti torinesi) e incassavo ogni genere di complimenti sdolcinati.


Vi riporto un dialogo-tipo dal quale trarrò l'etimologia del giorno, l'interlocutore sarà chiamato con il generico cognome piemontese Pautasso:

P: Cerea madama Pavia
N: Cerea monsù Pautasso
P: oh ma che bel cit!
N: su, saluta il signor Pautasso...
M: ...
P: ehi, bel bambino, come ti chiami?
M: ...
N: a l'è 'na cita, a 's ciama Marta. Su, saluta!
P: ooh ma lo sai che sembri proprio un maschietto?
M: signore, io non faccio mica la pipì da in piedi!

Di questo dialogo esilarante (ce ne sono stati molti altri di questo tipo) la parola che ci interessa è cerea, saluto del quale mi sono chiesta per anni il significato.
Pare che derivi da un'alterazione di signoria attraverso *sereia, serea, simile al saluto veneziano sioria vostra e al genovese scià.

Tra qualche ora vado a godermi il suddetto lungomare e a coccolarmi i ricordi. Buone vacanze a tutti!

martedì 13 luglio 2010

Sapienza

Con questo post vi rendo partecipi del ripasso del mio ultimo esame della triennale.
Ho sempre pensato che gli antichi romani fossero un popolo di burini confrontati con i greci, gli etruschi e svariate altre civiltà contemporanee e precedenti.

Ne abbiamo una prova nell'etimologia della parola sapienza. I latini, infatti, prima dell'incontro con la cultura greca, che come tutte le mescolanze è stata fondamentale per la nostra civiltà, non avevano parole per esprimere concetti astratti come il greco sophia, che indicava intelligenza e presa di giudizio.
Messi alle strette hanno dovuto elaborare una parola latina per esprimere il concetto e sono stati costretti a usare il nome SAPIENTIA, dal verbo SÀPERE, termine culinario che significava "essere salato". In senso figurato, avere il proverbiale "sale in zucca".

venerdì 9 luglio 2010

Vacanza

Affrontiamo l'argomento, visto che ormai Luglio è iniziato e la temperatura induce a pensare a lunghe passeggiate sulla spiaggia, bibite fresche, pelle abbronzata e abiti leggeri e svolazzanti.
Non è ancora detto che io possa godere a lungo di tali consolazioni quest'estate, visto che per buona parte del tempo sarò impegnata a scrivere la tesi, alla quale, dato l'argomento assurdo, dedicherò più avanti un post ad hoc.

Ieri dopo aver dato il mio penultimo esame mi sono soffermata a pensare alla parola vacanza in sè (che è anche un buon modo per rimandare le decisioni che la riguardano).
Deriva dal latino VACANTE(M), participio di VACARE, cioè essere vuoto, libero. Nel nostro caso libero dal lavoro, dagli impegni, dai problemi (anche se c'è chi dice che andare in villeggiatura equivale a stressarsi da un'altra parte).
A me fa pensare alle città ad Agosto, con i negozi chiusi, le strade deserte e tutti i parcheggi liberi che avresti desiderato trovare durante il resto dell'anno.

giovedì 1 luglio 2010

Ghëddo

Questo post è dedicato al mio ragazzo che oggi si laurea con una tesi in Etnomusicologia.
La parola in questione appartiene alla lingua piemontese (chiamatela dialetto, se preferite), in particolare al gergo musicale, e ha a che fare con le feste di paese, le bande e quegli anni meravigliosi in cui mia nonna, sedicenne, usciva di nascosto e si innamorava di mio nonno ballando il valzer.
Il ghëddo, infatti, è quell'affiatamento all'interno di un gruppo di musicisti che permette di avere uno stile inconfondibile, condiviso e trascinante che è una garanzia per le coppie di affezionati ballerini che volteggiano incessantemente sul ballo a palchetto. ("a l'han prope un bel ghëddo, custi sì").
Ma veniamo all'etimologia: pare che la parola derivi dal francese guede (dal germanico *waizda), nome di una pianta dalla quale si estrae un colorante azzurro che serve per tingere abiti eleganti. Da lì passa a indicare le persone che "si danno un tono", e infine diventa sinonimo di stile, bravura, eleganza.

Intanto ribadisco i miei auguri a Dario, ed ecco a voi un estratto delle sue registrazioni:


Piccola nota fonetica: non ho ancora deciso che tipo di grafia adottare per trascrivere il piemontese, per cui per ora mi limito a scriverlo nel modo più comprensibile possibile, i puristi mi perdonino. La parola ghëddo ha una pronuncia complicata e inconfondibile, con la ë molto breve, che quasi sparisce nella consonante doppia successiva, e la "o" finale si legge "u".

domenica 27 giugno 2010

Zagarella

Una calda serata in centro, una cara amica che ti sorprende con la sua presenza, dei concerti affollati a cui è impossibile entrare, e un'etimologia.
Non mi soffermerò sulle code chilometriche per entrare a sentire Samuele Bersani, e la successiva decisione di ripiegare su una semplice una passeggiata con chiacchiere in piazza Carlo Alberto.

È stata la sosta al gelataio La Piramide (lo consiglio a tutti i torinesi!) a farmi aprire stamane il dizionario etimologico subito dopo colazione. A coloro che mi prendevano in giro ieri quando volevo chiedere al gelataio in persona l'etimologia del gusto di gelato Zagarella ora dico:
"Zagara" è il nome del fiore d'arancio in dialetto siciliano, e deriva dall'arabo ZAHARA che significa "risplendere di luce bianca".
Questa non è poesia?

lunedì 21 giugno 2010

Compagno

Traggo spunto dalla polemica riportata oggi da Repubblica sull'uso, giudicato da qualcuno improprio, della parola compagno all'interno del PD.

La prima attestazione scritta di questa parola nell'italiano risale nientemeno che al 1282, ma nella sua accezione politica compare per la prima volta nel 1872, negli atti della Conferenza delle sezioni italiane dell'Internazionale. Naturalmente possiamo ipotizzare che nel parlato si usasse già da un po'di tempo, finchè qualcuno ha deciso di metterla anche su carta.
Come compagno abbia soppiantato i suoi possibili rivali fratello e cittadino non ci è dato saperlo. È perlomeno curioso che un compendio di tutti questi appellativi sia offerto dal primo verso di una celebre canzone di lotta (compagno cittadino fratello partigiano...).
Nel '900 esistono termini corrispondenti nei vocabolari politici di tutta Europa, ed è particolarmente interessante constatare che in Russia la parola assume questa accezione qualche decennio più tardi.

Ma veniamo all'etimologia: la parola deriva dal latino medievale companio, composto dei termini latini CUM e PANIS, letteralmente "colui con il quale si spartisce il pane", o più in generale il pasto. In senso figurato, inizia ad indicare comunanza di intenti, idee, e infine amicizia.

Lasciando le palesi implicazioni evangeliche ai teologi (avranno già notato i punti in comune tra la dottrina socialista e quella cristiana), possiamo dedurre che la parola indicava in origine il gesto solidale dello spartire il cibo, che ancora oggi è considerato un momento fondamentale nel creare un legame (da mio padre ho spesso sentito dire: "Ma che vuole questo da me? Mica abbiamo mai mangiato insieme").
Non dimentichiamo che anche i bambini a scuola, felicemente ignari del lessico della politica, si chiamano reciprocamente compagni.
E infatti spartiscono incondizionatamente cibo e idee, atteggiamento che potrebbe risultare sano anche tra adulti, compresi quelli iscritti ai partiti.

Ai ragazzi che hanno protestato per l'uso (che io interpreto come affettuoso e ironico) di compagno all'interno del PD posso dire solo che chi cerca di creare un tabù fa sempre una polemica sterile, giacchè la lingua è anarchica per definizione, e decide da sola quali parole, eventualmente, debbano sparire.

domenica 20 giugno 2010

Parola

Le parole sono come fiocchi di neve, non ce n'è due uguali e quando sono tante possono perfino bloccare le strade...
Questa bella canzone, "Mi hai insegnato" la potete ascoltare qui.

Parabolè per gli antichi greci voleva dire "paragone", "comparazione". I latini si sono pienamente appropriati di questo termine leggendo i vangeli, dove parabola indicava i racconti esemplari narrati da Gesù alla gente. Da qui è diventata "ciò che viene detto" per eccellenza, la parola.

I suoni, come sempre avviene, si sono addolciti nel corso dei secoli. Da un verbo *parabolare si è formato *paraulare (per lenizione della consonante b intervocalica), *parolare, e poi, finalmente, il sostantivo parola e e il verbo parlare.

Per questo amo così tanto le parole, hanno sempre qualcosa da insegnarci, e testimoniano le tracce che i secoli hanno lasciato su di noi e sul nostro modo di interpretare il mondo.


Piccola nota tecnica: questo asterisco * si usa quando una fase dell'evoluzione fonetica è stata ricostruita ma non attestata, insomma, ipotizziamo che esista ma non ne abbiamo le prove. È un po'come strizzare l'occhio e dire... fidatevi. ;)


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