lunedì 1 agosto 2011

Abitudine

Due weekend fa sono stata al mare. Riva Ligure, di cui vi ho già parlato, è il classico paesino della Liguria occidentale, meta obbligata dei torinesi over 60, il cui accento si ode costantemente risuonare durante la passeggiata sul lungomare. Adesso però comincia a risaltare, tra la folla bassina e attempata, qualche carnagione pallida distribuita su gambe decisamente più lunghe della media, mentre all'intercalare "nè" si sostituiscono affascinanti fonemi esotici. Riva Ligure si fa internazionale. Oggi si può ingannare il tempo sulla spiaggia osservando inglesi, francesi, rumeni e russi, con bambini biondissimi che passano l'intera giornata a mollo nell'acqua (che non viga altrove la ferrea regola delle "tre ore dopo mangiato" che tanto amavano le nostre nonne?). Inoltre questi forestieri bagnanti sono gli unici a sfidare in modo imperturbabile qualsiasi clima, che nel suddetto weekend è stato, diciamo, decisamente "variabile". Io naturalmente, non essendo altrettanto impavida, mi sono rifugiata in bar e ristoranti, cercando conforto nelle gioie del palato.
Proprio lì, nel bar del paese, si è svolta la scena che voglio raccontarvi.

Siamo nel primo pomeriggio, e i pochi avventori indugiano nel dopo-caffè, dal momento che il cielo in continuo mutamento non offre molte alternative. A un tratto arriva una donna anziana, spinta su una sedia a rotelle da una più giovane. Dal poco che riesco ad udire credo si chiami Angela. Porta un vestito nero, di un'eleganza sobria, e orecchini di perle. Ha il volto rugoso ma sereno di chi ha visto molte cose. Quando arrivano sotto al portico, Angela si alza dalla sedia a rotelle, e io mi accorgo che è decisamente più forte di quello che sembra. La donna che l'accompagna si avvicina a un tavolino, dove due signore di mezza età stanno finendo il gelato. Non riesco a sentire l'intero discorso, ma dopo un po' le due si alzano e colgo il finale della conversazione: "Grazie mille, scusate eh, ma sono trent'anni che lei si siede lì". Angela si avvicina al tavolino. Ad osservarlo bene, è il tavolino perfetto: vicino al muro per riparare le spalle dal vento, per metà al sole e per metà all'ombra, nella posizione ideale per guardare il mare. Le signore col gelato ridacchiano da un altro tavolo, mentre l'accompagnatrice di Angela la saluta e va via. Lei rimane lì, sola, e a guardarla pare molto serena, con lo sguardo fisso verso il mare.

Ho riflettuto sulla forza dell'abitudine, che può far sì che per trent'anni ci si sieda nello stesso posto. Possibile che non venga mai a noia? Allora, come mio solito, ho cercato l'etimologia della parola. Abitudine deriva, come abito, da HABITUS, participio del verbo HABEO, avere. Forse è possibile che, in certe stagioni della vita, l'abitudine sia, in effetti, tutto ciò che si ha?
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