venerdì 26 novembre 2010

Sollevare

studenti che manifestano a Torino
Un tempo sulle "torri d'avorio" stavano politici e intellettuali. Ultimamente invece accade che a lambire i cieli siano operai senza permesso di soggiorno, ricercatori precari e studenti che rivendicano il diritto all'istruzione.
Non certo un atto di presunzione nè un desiderio di isolarsi, ma anzi una disperata richiesta di attenzione. L'attenzione di una società disabituata a volgere lo sguardo verso il basso e tendere la mano a coloro che, per qualche motivo, faticano a sollevarsi con le proprie forze.
Se non guardano in basso, forse, sapranno guardare in alto.

Sollevare è molto semplicemente un composto della particella SUB, cioè sotto, e LEVARE, cioè alzare (a sua volta da LEVIS, leggero).
Mi auguro che questa sollevazione popolare, nel senso più etimologico del termine, aiuti, come dice lo striscione esposto a Torino, a "riportare in alto" l'università italiana.
Proprio lì, sotto quel tetto, mi aspettano ancora due anni di studi. Dopo, per me e per gli altri, verrà l'inizio di un nuovo viaggio, da percorrere sotto un cielo - se è possibile - ancora più incerto.


"Ci volete sotto i ponti, ci vedrete sopra i tetti." 
Manifesto della protesta studentesca a Roma.

sabato 20 novembre 2010

Ricordo

Qualche giorno fa ho fatto un piccolo viaggio, con mio padre, tra le montagne del canavese. Il clima grigio e umido, appena più freddo di quello di pianura, ha fatto sì che i ricordi mi impregnassero lentamente e mi lasciassero, a distanza di giorni, una malinconia dolce e persistente.
Ricordo che ci andavamo ogni anno, con nonna Maria, il primo Novembre, ed era il primo giorno che indossavo il giaccone invernale, che non avrei più tolto per i mesi successivi. I "grandi" mi risparmiavano la visita al cimitero, e avevo modo di girare il piccolo paese, lasciandomi stupire da cose apparentemente insignificanti, come la vetrina della panetteria, quella del negozio di scarpe e quella del negozio di giocattoli. Speravo sempre che da un momento all'altro si mettesse a nevicare.
Poi c'era la casa di Marianin e Antonietta, le anziane cugine di mia nonna, una stanza dal pavimento di legno, con un grande frigorifero ingiallito e una vecchia, vecchissima stufa di ghisa. Ricordo chiaramente il calore di quel piccolo ambiente, i suoni incomprensibili del loro dialetto, il cioccolatino e la banconota spiegazzata che mi infilavano in tasca prima di andare via, l'odore di legna, latte e formaggio. Alle pareti scrostate due diplomi rendevano omaggio al loro mestiere di allevatrici, esercitato in fraterna solitudine per tutta la vita, e poi, accanto a qualche immagine sacra, campeggiava il ritratto di una bellissima donna dagli occhi chiari e il viso dolce e fiero: la loro madre.
Poi si andava al ristorante, dove snobbavo la maggior parte delle piemontesissime portate e dopo si visitava un'altra famiglia, dove un'altra stufa accesa era circondata di persone allegre e gatti sonnecchianti. Lì mia cugina, una bambina magra, che mi pareva vestita troppo leggera per il venticello freddo che pungeva le guance, si faceva rincorrere per i pendii intorno alla cascina mostrandomene i segreti e gli infiniti animali che la abitavano.
E alla fine la partenza che era già buio, carichi di castagne, miele e formaggio (una volta portammo via anche uno dei gatti), e il viaggio in macchina riposante e conciliante, dopo tante emozioni.

Il verbo ricordare, da cui la parola ricordo, deriva dal composto di RE- che indica il ritorno, il ripetersi di un'azione e *CORDARE, da COR, CORDIS, che voleva dire cuore.
Somiglia all'inglese know by heart, sapere a memoria, e al francese apprendre par coeur.
Non mi stupisce che gli antichi considerassero il cuore, anzichè la mente, come sede della memoria. Certe immagini, odori, sapori, suoni del passato sono certa di conservarli proprio lì.

sabato 13 novembre 2010

Faccia

La faccia non è solo, come dice il dizionario, "la parte anteriore del corpo dell'uomo, dalla sommità della fronte all'estremità del mento e da un orecchio all'altro", e lo dimostra la varietà di espressioni che la riguardano oggi nella lingua italiana.
Se si crede veramente in qualcosa ci si mette la faccia, a costo anche di perderla. Un'emozione troppo forte, una grande gioia o un eccessivo disappunto, li abbiamo scritti in faccia, per non parlare di coloro che hanno una faccia di bronzo, e di alcuni loro simili ancor meno raffinati che qui non menziono.
Si può inoltre avere una faccia tosta, prendere qualcuno a pesci in faccia, espressione che non mi sono mai saputa spiegare completamente (suggerimenti?), e quando è necessario essere franchi con qualcuno è bene dirgli le cose in faccia.
La parola deriva dal latino parlato *FACIA(M), dal latino classico facie(m), che voleva dire "aspetto, figura". La cosa che stupisce è che già in latino il sostantivo derivasse a sua volta dal verbo FACERE, cioè "fare", come d'altra parte avviene per la parola "fattezze". Quindi la faccia è la nostra forma esteriore, così com'è stata fatta, appunto, ma è anche il mezzo principale, insieme alla parola, per rapportarci con il mondo, esprimere i pensieri e, infine, agire.

Suggerimento del giorno, dunque: usate bene la vostra faccia. E guardatevi, naturalmente, dagli eventuali voltafaccia.

sabato 6 novembre 2010

Laurea

È ufficiale, sono una Zuccaviolina laureata! I mesi di ricerche, le ultime settimane passate a scrivere ossessivamente, tutti i momenti bellissimi e sfiancanti della ricerca sul campo, si sono degnamente conclusi con le facce sorridenti dei musicanti di Fubine, che erano venuti a sentirmi parlare e invece è finita che tutta la commissione ha ascoltato loro esibirsi in sala lauree, con grande stupore dei presenti. Così l'essenza della mia ricerca si è diffusa nella stanza sotto forma di onde sonore, briose e vibranti, e le parole non sono state che una didascalia in più.
Poi sono venuti i complimenti dei professori, le foto, la dolcezza delle amiche, la cena con Dario e la mia famiglia, accanto alla stufa accesa, i dolci cioccolatosi e ipercalorici.
Questa è stata la mia laurea.
La parola, invece, deriva dal latino LAURUM, pianta rituale che veniva utilizzata dai latini nelle cerimonie religiose o per rendere onore a poeti e generali vittoriosi. Il LAURUM in italiano è diventato lauro, da cui la parola laurea, ma anche alloro. Questa parola, un po'diversa, trae origine da ILLA(M) LAURUM, ovvero dal medesimo nome preceduto dal dimostrativo latino ILLA, che in italiano ha generato l'articolo "la". Il lauro infatti, come tutte le piante in latino, è di genere femminile... d'altra parte si parla di madre natura ancora oggi, no?
L'articolo, per ragioni fonetiche, si è "attaccato" alla parola successiva, e con qualche aggiustamento nei suoni, per rendere agevole la pronuncia (in questo caso una metatesi, ovvero uno scambio tra la "l" e la "a"), è nata la parola alloro.

Indovinate a che corso di laurea specialistica mi sono iscritta adesso?
Facile, scienze linguistiche. ;)
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